Contraddanza
La prima raccolta di country dances conosciuta sia English Dancing Master, pubblicato nel 1651 a Londra da John Playford che testimonia della grande fioritura esistente in quella nazione di questo genere di danza. In quegli anni non c’è notizia di nulla del genere in Francia o in Italia. Solo dalla fine del XVII secolo la contredanse in Francia ebbe un’ampio sviluppo grazie all’attività dei maestri Feuillet, Dezais e Pècour. In italia il maestro Dufort, nel 1728 considerava la contredanse poco appropriata al ritegno della danza nobile. Mezzo secolo dopo il maestro Magri testimoniava invece la diffusione di questa danza nei salotti italiani dedicandogli un’ampia parte del suo Trattato teorico-pratico di Ballo (1779).
Dallo studio delle fonti italiane ottocentesche la “contraddanza italiana” assume i contorni di una leggenda, tutti ne parlano, tutti la conoscono ma nella sua concretezza non appare mai. Nella pratica c’è il continuo assorbimento della contradance francese e della country dance inglese, oltre al grande sviluppo della quadriglia che diverrà rappresentante unica delle danze di gruppo.
L’espressione contraddanza italiana si trova in uso nel 1815 a Bologna, utilizzata per un ballo al Casino del Corso e per un ballo in un’osteria. Doveva essere una danza semplice e di conoscenza generale. Dalla lettura dei manuali italiani si può dedurre che la quadriglia prese definitivamente il suo posto in società come danza di gruppo spingendo la contraddanza verso i ceti sociali più bassi. Questo processo si sviluppa tra gli anni’40 e ‘80 dell’Ottocento; la società italiana provinciale per natura culturale, economica e politica, importò le proprie danze per tutto l’Ottocento dalle grandi capitali europee. E in Italia, come in Francia, la quadriglia prese il posto della contraddanza come danza di gruppo, mentre le danze di coppia divenivano l’elemento centrale dei Balli.
Quadriglia
Nei primi anni dell’Ottocento la quadrille, nata in Francia dall’evoluzione del cotillon alla fine del Settecento, divenne la danza più in voga in tutta Europa. La sua configurazione geometrica è il quadrato: quattro coppie si fronteggiano disposte in carré eseguendo una molteplicità di figure. E’ possibile pensare a questa danza come alla sequenza di cinque contraddanze diverse eseguite nella medesima disposizione e dalle stesse coppie. In effetti in diversi documenti dell’Ottocento troviamo che le singole parti dell’intera quadriglia vengono chiamate contraddanze.
L’uso di considerare intercambiabile la definizione di quadrille o contredanse per definire la quadriglia fu causa di confusione nel linguaggio della danza per tutto il secolo e in tutta Europa.
Probabilmente il motivo è da cercare nell’esistenza nel vocabolario tecnico del balletto francese del termine quadrille a significare un insieme di ballerini, dai costumi simili, che eseguono una “entrée”. Questo genere di quadrille ebbe il suo massimo splendore negli anni dell’Impero, tra il 1804 e il 1812, ai balli di corte voluti da Napoleone. Proprio gli anni, dunque, in cui si sviluppava la quadrille come danza di società; possibile quindi che i francesi sin da questi anni abbiano utilizzato il termine contredanse anche per la quadriglia per distinguere il suo aspetto di danza di società da quello tipicamente teatrale.
Centinaia di quadriglie furono composte e ricevettero un nome, ma di esse solo poche ebbero risonanza internazionale; la maggior parte rimasero in ambito locale.
Valzer
La presenza del valzer è chiaramente documentata nell’Italia centro-settentrionale sin dai primi anni del secolo. E’ interessante notare che il termine viene scritto in tre modi diversi: walser, quasi alla francese; waltzer all’ inglese e walzer alla tedesca. Il valzer era di certo una danza diffusa nell’Italia nord-orientale sin dall’ultimo quarto del XVIII secolo, grazie all’influsso della cultura austriaca, culla del valzer nella sua accezione moderna. Ma quali sono le origini del valzer? La Volta, danza diffusa nelle corti europee del cinquecento, è stata identificata come l’antecedente del valzer; in maniera identica anche il Dreher, danza diffusa nei territori germanici, è stata individuata come la radice principale del valzer. Vi è però un errore di fondo, perché il fatto che nell’Alto Medioevo o nel Rinascimento si danzasse una qualche danza in tempo ternario, che implicava una rotazione della coppia, non può aver nulla a che vedere con la nascita e lo sviluppo del valzer. Ogni danza appartiene solo e soltanto al suo tempo, perché la danza è un elemento vivo della società in cui nasce e si sviluppa, dalla quale assorbe determinate caratteristiche.
Alle radici del valzer c’è una ricchezza composita, fatta da quelle danze di origine austriaca, come il Ländler o tedesca, c’è una danza antica di società conosciuta in tutta Europa col nome di Allemande, c’è una forma musicale che trova lentamente la sua forma da Haydn a Mozart, da Beethoven a Vincenz Martin a Weber e Clementi. Lentamente il valzer conquista un posto nei programmi d’insegnamento dei maestri di ballo, fino a divenire, quando l’autorità costituita ne accetta l’esistenza nelle corti di tutta Europa, la danza regina sia nei balli pubblici sia nei balli privati. I maestri di ballo ne sviluppano, attraverso l’Ottocento, diverse varianti esecutive. In assenza di documenti probanti, bisogna accontentarsi di una testimoniata esistenza dalla seconda metà del Settecento di una danza in tempo ternario, eseguita da una coppia in posizione chiusa, che si sposta lungo un non ben precisato percorso dentro la sala ed esegue un movimento di rivoluzione intorno al proprio asse.
Il valzer rivoluzionò il modo di danzare della società borghese in quanto, confrontato col minuetto, danza di coppia in cui dama e cavaliere si toccano appena tramite un contatto fuggitivo di una o due mani, l’esatto opposto è il valzer, nel quale, nella coppia chiusa, la dama deve lasciarsi andare alla guida del cavaliere. Vi è la perdita, da parte della dama, della possibilità di condurre alla pari il gioco amoroso del corteggiamento, insito nella logica della danza di coppia. Fu a causa di questa radicale trasformazione della relazione tra cavaliere e dama che trascorsero anni prima che la società accettasse definitivamente, l’avvenuta evoluzione.
Mazurka
La mazurka originale, la danza di origine polacca ricca di passi e figure, sembra non aver mai avuto asilo in Italia. Spiegano chiaramente quasi tutti i maestri che trattarono dell’argomento che la mazurka polacca era troppo difficile per essere inserita nei carnet di danza italiani, dunque la si addomesticò.
La prima volta che si incontra la mazurka in una versione prossima a quella polacca è nel volume di Bortolotti (1837) sotto il nome di “mazurca”. Non sono descritti i passi, ma vi è una successione di nove figurazioni; da qui in avanti la mazurka si stempera lentamente in una danza ibrida, chiamata polka-mazurka.
Nel manuale di Poletti del 1868, viene inserita tra le dieci danze più in voga nelle feste da ballo, ma neppure lui descrive i passi; il passo che viene descritto dal 1868 in avanti è quello della polka-mazurka, e non subisce grosse variazioni fino al 1914. la musica è in tempo di 3/4, la coppia è in posizione chiusa, il cavaliere le spalle al centro della sala.
Una variazione dei passi di polka-mazurka fu la Varsovienne, danza in voga a Parigi dalla metà del secolo. Non si sono trovate tracce significative della sua diffusione in Italia. De Fiori e Gavina in fine secolo la collocano tra le danze del passato non più in uso; d’altra parte la Varosvienne, sebbene dal nome storpiato, la si trova nel repertorio musicale popolar di tutta la penisola fino ai giorni nostri, segno di una profonda penetrazione nel tessuto sociale.
Polka
La polka giunse in Italia dalla Francia, dove aveva conquistato i saloni parigini nel 1844, lanciata dai maestri Cellarius, Coralli e Laborde, dopo il successo ottenuto come danza di carattere in teatro.
Il passo della polka, eseguito su un tempo di 2/4, è molto semplice e non si è trovato diversità nel modo di descriverlo; ricorda De Fiori come nei primi anni del suo successo, la polka si danzasse figurandola in diverso modo; in realtà i maestri si interessarono poco di essa, sia perché troppo semplice per dilungarsi, sia perché tanto diffusa da non meritare troppa attenzione.
Galop
Il galop, per quanto di certo presente nelle sale italiane sin dai primi anni’30, non ebbe mai grande spazio nei manuali a stampa. Nell’articolo Della danza da sala in “Teatri, arte e letteratura”, 1833 si legge: “Non si dovrebbe trascurare la cosiddetta galoppa fatta come si deve e non come la maggior parte l’usano in molte conversazioni.”, d’altra parte è raro che i maestri si dilunghino sulla spiegazione del passo o sulla danza in sé. Dal Bortolotti fino al Picchetti il galop viene utilizzato all’internop di figure di quadriglia, ma raramente riceve l’onore di essere analizzato in un paragrafo a se stante. Il galop veniva danzato in posizione di coppia chiusa, con una musica in tempo di 2/ o di 6/8.
I brevi cenni sulla storia delle danze sono tratti da:
“La Danza di Società nell’Italia dell’800” di Fabio Mollica
“Il Valzer dei Maestri” di Fabio Mollica
Per maggiori informazioni sui libri della Società di Danza: https://www.societadidanza.it/libri.html
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